Nato nel 1929 a Pinerolo (To), nel 1950 inizia a lavorare alla Cisl di Rovigo della quale, dopo una breve esperienza alla Cisl di Pavia, diventa nel 1955 Segretario generale. Dal 1962 al 1978 è stato alla guida della Cisl bresciana. Nel 1970 ha fatto parte della prima segreteria della Cisl regionale; dal 1978 al 1983 ne è diventato segretario generale.
Presidente dell’Inas Cisl nazionale dal 1983, dal 1993 al 2001 è stato segretario generale della Federazione nazionale pensionati Cisl. Ha fatto parte della VII Consiliatura (2000-2005) del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.
Melino Pillitteri è morto a Brescia il 9 ottobre 2018.
Nel 1962, mentre ero Segretario generale della Cisl di Rovigo, venni chiamato da Bruno Storti che mi sollecitava ad accettare la Segreteria di Brescia. Ero giovane di età, 32 anni, ma ne avevo già 12 alle spalle di esperienza sindacale, prima Rovigo, poi a Pavia e poi ancora a Rovigo. Queste esperienze, per la loro complessità, avevano convinto la Segreteria confederale che potevo fare il Segretario di Brescia. Quello più perplesso ero io, ma alla fine mi feci convincere anche nel ricordo di come ero arrivato in Cisl e di quante esperienze dure e difficili avevo vissuto.
Il mio primo contatto con i dirigenti della Cisl avvenne in occasione della campagna elettorale del 1948. Giulio Pastore dirigeva da Segretario organizzativo nazionale le iniziative a Vercelli, il suo collegio. Con lui c’era Idolo Marcone. Io coordinavo, dall’ufficio del segretario provinciale della Democrazia cristiana, un notiziario che veniva diffuso con gli altoparlanti in Piazza Cavour. Conoscendoli personalmente ho profondamente ammirato Pastore e Marcone. Avevo 18 anni e tanta passione che mi derivava dall’appartenenza all’Azione cattolica e dalla vita d’oratorio. Dopo la maturità andai all’Università iscrivendomi a Chimica industriale. Scelta sbagliata, tanto che dopo dodici esami decisi di cambiare: era l’estate del 1950.
Il 1° agosto, festa di Sant’Eusebio, patrono di Vercelli, nel corso principale della città incontrai Marcone che nel frattempo era diventato Segretario della Cisl di Rovigo. Mi fermò e mi disse: “Verresti con me a Rovigo a fare il sindacalista?”. Ne parlai subito con papà e mamma e il 6 agosto partii per Rovigo cominciando così la mia vita nella Cisl. Ho iniziato come fattorino: scopavo i miseri uffici, spolveravo, preparavo le sedie per le riunioni, ascoltavo, imparavo. Fino a tarda sera scrivevo, a mano, le tessere. Ero sempre con Marcone, lo seguivo negli incontri, nelle assemblee. In quel periodo ho fatto il capo Lega, il capo Zona.
Nel 1953 Marcone venne trasferito a Pavia, ed io con lui. Passammo da una provincia essenzialmente agricola ad un territorio industriale; dalle dure discussioni con la Cgil per la distribuzione della compartecipazione e della meanda (una sorta di premio di produzione) al volantinaggio di fronte alle fabbriche per sostenere gli accordi che faceva la Cisl, come il conglobamento delle voci delle retribuzioni nel settore industriale. Nel Congresso del 1954 venni eletto vice segretario della Cisl di Pavia: ero responsabile dell’ufficio contabilità, dell’ufficio vertenze e del pubblico impiego. Tanto lavoro, tante esperienze, tanti sacrifici.
Nel 1955 Pastore e Macario decisero di mandarmi a reggere la Segreteria provinciale di Rovigo in sostituzione dell’on. Cibotto. Tentai, invano, una qualche resistenza. Nel luglio di quello stesso anno venni eletto Segretario della Cisl di Rovigo. Quante responsabilità! Quante difficoltà! Avevo problemi finanziari (poche entrate, molte spese), sindacali (forte minoranza rispetto alla Cgil), organizzativi (costituire in tutti i comuni della provincia una presenza della Cisl). A poco a poco risolvemmo i problemi. Il nostro gruppo era coeso ed affiatato. Le adesioni aumentavano, le Leghe si costituivano. Quasi tutte le sere andavo in giro a parlare, spesso nei teatrini delle parrocchie, a convincere i lavoratori agricoli della validità delle politiche della nostra organizzazione.
Scadeva alla fine del 1961 il contratto provinciale dei lavoratori agricoli. Nel definire la piattaforma rivendicativa proposi un’innovazione rivoluzionaria: distribuire la compartecipazione e la meanda ai soli lavoratori agricoli. Si voleva far uscire l’economia agricola dai vincoli dell’assistenzialismo: passare da agricoltura estensiva ad intensiva. La Cgil non accettò questa proposta e dopo la firma dell’accordo proclamò lo sciopero generale della categoria che durò 56 giorni. Alla fine però accettarono e fecero autocritica. Durante lo sciopero ci fu un tentativo da parte di Bisaglia, allora giovane esponente della Democrazia cristiana locale, d’intesa con il Segretario del Partito socialista, di modificare l’accordo. Io mi opposi e non se ne fece nulla. Quella lotta e la sua soluzione mi convinsero della validità e della indispensabilità dell’autonomia del sindacato.
Agli inizi degli anni ’60, le difficoltà di rapporto tra la Segreteria dell’Unione e la Federazione dei metalmeccanici misero in crisi la Cisl di Brescia. Intervenne la Confederazione che nominò l’allora Segretario provinciale, on. Angelo Gitti, Presidente nazionale dell’Istituto per l’Avviamento al Lavoro, e il suo vice, il rag. Carlo Albini, Direttore dei Magazzini Generali; a me venne chiesto di essere il nuovo Segretario dell’Unione. Ancora una volta, sollecitato in particolare da Macario e da Marcone oltre che da Storti, mi trovavo di fronte ad una scelta molto difficile, pienamente consapevole della complessità che avrei dovuto affrontare. Anche quella volta a farmi decidere fu la valutazione delle mie personali esperienze del passato, il mio percorso di cislino.
A Brescia mi diedi immediatamente alcuni obiettivi: realizzare la coesione e l’unità del gruppo dirigente; puntare ad una piena autonomia della Cisl bresciana; sviluppare la politica salariale della Cisl a livello aziendale; potenziare la presenza organizzativa della Cisl nei luoghi di lavoro e sul territorio.
Trovai subito la grande disponibilità del gruppo dirigente. Discutevamo di tutto nel Comitato esecutivo, rappresentativo delle categorie, e insieme si decideva. In poco tempo diventammo come una famiglia. Avevamo un unico obbiettivo: fare forte la Cisl e sviluppare la sua politica. Ognuno si preoccupava dell’altro e ci si aiutava reciprocamente. Attraverso questo modo di operare realizzammo la nuova sede Cisl di via Zadei, riuscendo anche a dare stabilità finanziaria a tutte le categorie.
Più complesso fu affrontare la questione dell’autonomia. La Cisl bresciana era fortemente legata alla Democrazia cristiana e alle Acli: Gitti era parlamentare della Dc, Albini era assessore alle finanze del Comune di Brescia, il Segretario della Fisba, Pietro Apostoli, era vice presidente dell’Amministrazione provinciale. Le Acli non condizionavano solo le strutture delle categorie ma anche l’Unione, tanto che nella composizione della mia segreteria era stato inserito un loro rappresentante. C’era inoltre un rapporto particolare con il direttore dell’Associazione industriale bresciana, l’avv. Solaini. Con calma ma con fermezza, tutti insieme acquistammo la nostra piena autonomia sul piano sindacale, rivendicativo e organizzativo. Le mediazioni le facevamo noi nelle sedi istituzionali senza alcun condizionamento.
Sul versante organizzativo mi ricordo un fatto estremamente significativo. Alla vigilia del Congresso di una delle categorie dell’industria, il Segretario mi disse di aver saputo che le Acli avrebbero creato problemi. Io lo tranquillizzai chiedendogli di avere fiducia nei delegati. Partecipai ai lavori sostenendo con forza le ragioni della Cisl. I delegati votarono compatti confermando il gruppo dirigente: chi doveva capire, capi! L’acquisita autonomia ci diede forte potere contrattuale e autorevolezza.
Proprio sulla contrattazione la Cisl bresciana e tutte le categorie dell’industria, in un Consiglio generale appositamente riunito, avevano lanciato su larga scala un programma rivendicativo per realizzare in ogni azienda il premio di produzione e l’abolizione del cottimo. Fu una lunga battaglia combattuta sul piano tecnico – perché bisognava dimostrare l’incremento di produttività e il suo collegamento ai salari – e su quello organizzativo attraverso non pochi scioperi. Nello stesso tempo avevamo sviluppato una forte unità d’azione con la Cgil che dava grande forza all’azione sindacale. Ottenemmo grandi successi attraverso trattative non facili che duravano giorni e notti. Queste vertenze ci consentivano di avere possibilità di incontro con i lavoratori, di farci conoscere, di far capire la validità della rivendicazione e la forza dell’unità dei lavoratori. In quel periodo il padronato bresciano comprese che con il sindacato bisognava trattare.
Cresceva nel contempo la consapevolezza che i lavoratori non dovevano essere tutelati nei soli luoghi di lavoro, ma che bisognava affrontare anche i più vasti problemi sociali: pensioni, casa, trasporti, sanità, assistenza. Giunse il tempo dei grandi scioperi generali che davano ruolo alla confederalità. Brescia fu tra le prime città ad esserne interessata, basti ricordare il grande sciopero alla fine degli anni ’60 con i comizi in una Piazza della Loggia stracolma di cittadini.
La coesione del gruppo dirigente, l’attività contrattuale, il saper affrontare e risolvere tante esigenze nel sociale sono tutti elementi che hanno consentito alla Cisl di raccordarsi con i lavoratori e rafforzare le adesioni. Ma la nostra forza non era rappresentata solo dai numeri. Si poteva contare su una capillare presenza di dirigenti qualificati, pieni di sana passione, che davano la certezza di poter ulteriormente aumentare la forza autonoma della Cisl e di superare momenti drammatici, come quello della bomba di Piazza della Loggia del 1974. La Cisl bresciana ha seguito ed interpretato i radicali cambiamenti della società provinciale: il passaggio di consistenti masse di lavoratori dall’agricoltura all’industria, le crisi di interi settori (tessile, calzaturiero), lo svilupparsi del terziario, la maggiore sindacalizzazione del pubblico impiego e della scuola, il modificarsi delle influenze dei gruppi di potere, l’accentuarsi dell’estremismo antagonista.
Noi abbiamo sempre avuto la volontà e la forza di interpretare i bisogni dei lavoratori e le loro aspettative. Non sempre ci siamo riusciti ma abbiamo sempre lottato. E ciò va a merito di tutto il gruppo dirigente. Vorrei citarli uno per uno, ma mi sembra più giusto ricordarli come un gruppo capace, coeso, forte di idee e di passione.